Occhi aperti sul mondo, quelli di Alessio Zerial. Se la fotografia descrive con precisione qualcuno o qualcosa, il cinema rappresenta il movimento che, in singoli fotogrammi, viene ricomposto su uno schermo.

Di quest'arte, scelta come metodo di narrare, Zerial ha fatto un'attività non industriale, ma seria, sì. Un modo di prenderlo il mondo, diventarne padrone. Le parole chiariscono: con la macchina da “presa” si “ri-prende”, si ruba, si coglie di sorpresa, si afferra, si possiede. Si prende per ridare. Quante volte lo abbiamo visto girare da solo, con l' apparecchio in mano, entusiasta e libero di scegliere e decidere.

Le immagini passate per un foro sono rimaste nel tempo a fare storia, dal '54. Dai primi lavori in 8 mm, fino al digitale. Dal '68 commentati quasi tutti da Mara Debeljuh. Hanno scritto anche Carolus Cergoly, Giulio Montenero, Claudio Magris, Magda Yevnikar, Elsa Fonda e Aleksij Pregarc.

Per salvare il materiale condannato alla polverizzazione e alla smagnetizzazione gli è nata l'idea di raggruppare fotogrammi e commenti, riproposti non più in pellicola, ma in libro. Offre il proprio mondo sulla carta agli occhi di tanti perché possano soffermarsi ad analizzare il contenuto della pagina.

Nato nel quartiere triestino di Servola, ha espresso l'avvento fascinoso di una società nuova. Quel pane ha ancora il sapore del ricordo. Testimonia usi e costumi semplici, forse tra bestemmie e muggiti della vita: il carnevale, l'albero di Natale, le saline e il porticciolo, lo scalo legnami, due ragazzini che suonano le trombe per conquistare il cuore di un'innamorata, l'inizio di un amore, la vita fantastica fatta di prati e ruscelli, la libertà terapeutica di Basaglia.

Scherzando direbbe che la sua vita è un cinematografo. Sicuramente piena di viaggi in luoghi, sfondo alle contraddizioni contemporanee, ma essi stessi personaggi, dalle atmosfere particolari, indimenticabili: Dubrovnik, la Bosnia, il Carso, Ohrid, il Messico, l'Usbekistan, il Perù, il Cile, l'Iran, L'Ecuador, il Triglav, la via della seta, il Vietnam, il Tibet, la Patagonia, l'isola di Pasqua,oltre l'Indo, le olimpiadi a Mosca, la Francia del Nord e la Normandia, Venezia, Berlino.

Incantato da scenari, panorami, scorci, fascino delle stagioni, ha colto con straordinaria sensibilità anche il poetico mondo infantile ricco di bolle di sapone, aquiloni, pulcini. Orgoglioso, ha catturato le ragazze del Carso campionesse d'Italia nel tennis da tavolo; due triestine campionesse mondiali: Tanja Romano, di pattinaggio a rotelle; Martina Bogatec di skiroff .

I suoi luoghi sono lo spazio in cui si intrecciano il piano della vita e quello dell'arte. Ha affrontato le mini ex tempore e le sculture a Forma Viva; Cuenca, museo di arte astratta spagnola. Ha filmato gli artisti conosciuti. Conquistato dalle esperienze di Augusto Cernigoj, il mondo di Claudio Palcic, quello enigmatico di Sergio Stocca, Gianni Brumatti, Luigi Spacal, Marino Sormani, Livio Rosignano, Marcello Mascherini, Mario Scarpati, Desiderio Svara. Nelle inquadrature, sapienti l'uso cromatico, la contrapposizione di tinte calde e fredde.

Preziose le colonne sonore. Attratto anche dalla musica, ha abbracciato la famiglia istriana che suona strumenti tradizionali, il violoncello di Vasja Legisa, l'arpa di Jasna Corrado Merlak. Non si è lasciato sfuggire gli spettacoli: il mistero buffo di Fo, il teatro d'Europa ad Avignone, le lorchiane “Nozze di Sangue”, date al teatro stabile sloveno di Trieste nel 2002.

Vive nel presente, ma ha forti legami con la seconda guerra mondiale. Il tempo non cancelli l'antico borgo distrutto dai tedeschi; la risiera, unico campo di sterminio nazista in Italia; il famoso ospedale partigiano. Lo sguardo nel passato è una promessa impegnativa, che vuole servire alla memoria. Non manca il ricordo speciale per l'amico Edi Selhaus, reporter partigiano. Ha verificato di persona la realtà, ma è stato anche capace di andare fin dentro alla cosciente consapevolezza di appartenere all'umanità primigenia che lancia il suo messaggio all'infinito dello spazio e del tempo. Fiducioso, scrive: “Quello che dimentichi, ritorna nel vento”. Con idee ed emozioni, espresse in immagini di luce, ci ha dato soprattutto la presenza fondamentale di tutta l'opera: se stesso.

Elsa Fonda